SCIOPERO GENERALE, GIOVEDI’ 31 OTTOBRE, CON MANIFESTAZIONE A ROMA, PIAZZETTA VIDONI H. 10.30

Contro la manovra collegata alla Legge Finanziaria che colpisce Sanità, Enti Locali, Scuola e pensioni; Contro l’odioso meccanismo del silenzio-assenso che sottrae il Tfr ai lavoratori per regalarlo ai Fondi Pensione.

Per la Scuola le “novità” si aggiungono ai disastri di sempre e ad un mancato rinnovo del contratto scaduto da quasi 3 anni. Le ultime leggi di bilancio hanno stanziato risorse ben al di sotto rispetto all’inflazione maturata nel triennio di riferimento. A fronte di un’inflazione reale pari al 18% è previsto un recupero del solo 5,78%, con un differenziale di oltre il 10%. Così si abbatte il potere d’acquisto. Scioperiamo affinché vengano stanziate risorse aggiuntive per rispondere all’inflazione del triennio e fare un passo verso l’equiparazione agli stipendi europei.

Ancora classi pollaio, ancora ricorso massiccio al precariato reclutato secondo il deleterio sistema dell’algoritmo, generatore di errori e ricorsi a non finire, ancora edilizia fatiscente e scuole non a norma, ambienti che cascano a pezzi, mentre coi soldi PNRR si crea la buffonata degli ambienti digitali.

A tutto questo si aggiungono i micidiali provvedimenti emanati o in procinto di essere emanati dal Governo:

  • la regionalizzazione del sistema dell’istruzione dovuta all’autonomia differenziata (gabbie salariali comprese);
  • la riduzione di un anno di scuola superiore con la quadriennalizzazione di tutti i percorsi, attualmente ancora in discussione, già anticipata dalla sperimentazione della filiera tecnologico professionale e da orientamenti didattici che esaltano le UDA, nuova riedizione dei famigerati saperi minimi;
  • la riforma del voto di condotta, che introduce un clima di terrore e repressione nelle scuole;
  • la risoluzione che vieta attività educative di contrasto alle discriminazioni di genere;
  • le nuove linee guida dell’educazione civica, volte a formare gli studenti su non a “valori” imprenditoriali, antisolidaristici e nazionalistici;
  • la proliferazione di figure intermedie che minano a spaccare la categoria e a trasformare sempre più la scuola in un ibrido fra azienda e caserma;
  • il DDL “collegato al lavoro” in discussione alla Camera che mira ad introdurre il “contratto di apprendistato duale” da 15 anni fino a dopo il dottorato con retribuzioni ridicole (col plauso di Confindustria).

Sono provvedimenti che ridisegnano l’impianto complessivo della scuola:

  • distruggono un’impostazione pedagogica che, pur con tutti i suoi limiti, ha caratterizzato la scuola della repubblica;
  • porteranno, come nel caso delle quadriennalizzazioni del superiore, ulteriori tagli di cattedre (mirati ad indurre sugli studenti disoccupazione e ulteriore futura precarietà).

Per imporre queste deleterie politiche utilizza lo strumento repressivo: è da intendere in questo senso il DDL 1660 sulla sicurezza, che sfodera il manganello contro chi manifesta nelle piazze, contro chi occupa luoghi di lavoro e di studio, contro chi esprime dissenso.

 

  • PER La riduzione delle spese militari,
  • NO alla cobelligeranza,
  • NO agli sprechi vergognosi del denaro pubblico per la realizzazione dei lager per migranti in Albania, la Tav e il ponte sullo stretto di Messina.
  • PER una vera tassazione degli extra-profitti di banche e speculatori, delle imprese energetiche, delle aziende tecnologiche internazionali.
  • PER gli Investimenti contro il dissesto idro-geologico e gli effetti del cambio climatico
  • PER un rinnovo contrattuale che avvicini gli stipendi alla media europea
  • PER un provvedimento urgente di immissione in ruolo dei precari su tutti i posti liberi eliminando l’assurda divisione tra organico di diritto e organico di fatto. Poi istituzione del doppio canale di reclutamento (50% dei posti ai precari)
  • PER La riduzione del numero di alunni per classe
  • PER L’eliminazione dell’algoritmo, ritenuto illegittimo da decine di sentenze in tutta Italia, ed il ritorno alle nomine in presenza

 

SCIOPERIAMO COMPATTI GIOVEDI’ 31 OTTOBRE E MANIFESTIAMO A PIAZZETTA VIDONI ALLE H. 10.30

 

La lotta per la difesa della scuola pubblica passa anche per la battaglia contro il precariato.

Ogni anno sempre la solita storia che si ripete; il ministro di turno afferma di aver trovato la soluzione all’annosa questione del precariato nella scuola, ma tutto poi si risolve in un bluff. E così è accaduto anche col Ministro Valditara (quello che pensava di risolvere i problemi endemici della scuola italiana con la parolina magica “Merito”): nonostante avesse annunciato urbi et orbi che con il suo concorso PNRR avrebbe diminuito radicalmente il problema, l’avvio dell’anno scolastico 2024-2025 si sta dimostrando un vero e proprio incubo, per alunni, famiglie e lavoratori della scuola (docenti e ATA).

Un incubo che cresce sempre più, se è vero che in sette anni i docenti precari sono aumentati del 72%; dai 132 mila supplenti dell’anno 2017/2018 ai 232 mila dello scorso anno, mentre per l‘attuale anno scolastico saranno 250 mila (più di un terzo dei docenti totali) quelli assunti fino al 30 giugno 2025, e di questi ben 106.000 sono insegnanti di sostegno. Poi la giostra ricomincerà. La situazione per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario nelle aule e nelle segreterie scolastiche non è, certo, migliore: si calcola che il precariato, in questo settore lavorativo, ammonti a oltre 50 mila unità.

La triste realtà è che un lavoratore precario costa allo Stato molto meno di uno a tempo indeterminato e, quindi, all’amministrazione conviene mantenere lo status quo fatto di incertezza e contratti a tempo piuttosto che favorire la completa stabilizzazione. Di questi lavoratori viene sfruttata la professionalità, evitando al contempo di riconoscere loro alcuni fondamentali diritti, come il diritto alla maturazione dell’anzianità di servizio, a percepire uno stipendio anche al termine delle attività didattiche, al pagamento completo dell’indennità di malattia; al TFR calcolato su 10 anziché su 12 mesi.

E così si spiega perché con 62.560 cattedre scoperte, sono state autorizzate solo 45.000 assunzioni (per di più non riuscendo a reclutare tutto il contingente), si programmi un nuovo concorso scuola a novembre, creando delle aspettative che poi verranno deluse, mentre migliaia di idonei di concorsi degli anni passati sono ancora in attesa di una chiamata e perché, a fronte di oltre 30mila posti vacanti tra gli ATA, sono state previste solo 10 mila assunzioni in ruolo (pari ai pensionamenti 2024).

A rendere la situazione ancora più caotica c’è da una parte la proliferazione dei canali di assunzione come le Graduatorie provinciali a scorrimento (GPS), il cui algoritmo mostra, ancora una volta, dei gravi limiti di funzionamento (con graduatorie piene di errori, prima pubblicate, poi ritirate e ancora ripubblicate, con il caso più eclatante registrato a Brescia), affiancate quest’anno dall’ultima novità ministeriale dell’Interpello (col risultato di avere le segreterie invase da centinaia di candidature da parte di docenti senza titolo) e le graduatorie sempre verdi di aspiranti insegnanti, sfornati da TFA e prossimamente dall’Indire; dall’altra il verificarsi sempre più spesso di vicende vergognose che riguardano l’acquisto di titoli per l’insegnamento, anche sul sostegno e di certificazioni varie, a partire da quelle linguistiche, all’estero, ma anche in Italia.

Tutto ciò, oltre a produrre un balletto dei docenti, utilizzati col sistema “usa e getta”, senza alcun rispetto per la loro professionalità e condizione esistenziale, comporta ricadute inevitabili sulla gestione delle scuole, sugli alunni e sulle famiglie che vedono la continuità didattica sempre più come un miraggio.

Parte del problema sono i sindacati maggiormente rappresentativi che non sono mai riusciti a porre la questione della stabilizzazione dei precari all’ordine del giorno coi diversi esecutivi che si sono succeduti in tutti questi anni; anzi, detti sindacati, oltre a non aver denunciato le falle del sistema di reclutamento italiano con i suoi tempi biblici per l’assorbimento del precariato, hanno di fatto avallato che per decenni lo Stato favorisse lo sfruttamento e la discriminazione dei lavoratori. Hanno così fatto in modo che i precari della scuola si abituassero a pensare che la loro controparte fossero i compagni di graduatoria, chi minacciava di acquisire posizioni più vantaggiose rispetto a loro o altri che a gran voce e legittimamente rivendicavano il riconoscimento dei loro diritti. In sostanza gli stessi sindacati hanno incentivato la guerra tra poveri!

Di contro l’Unicobas è da sempre pienamente convinto del fatto che per affrontare la questione del precariato non possa più essere rimandata la costruzione di un fronte che sia, pur nelle sue differenti provenienze, determinato ed unitario e che tale battaglia si saldi necessariamente a quella contro il progetto di distruzione della scuola pubblica messa in atto dai governi che si sono succeduti da vent’anni a questa parte; pertanto la proposta del nostro sindacato era e resta la seguente:
– Istituzione di un doppio canale di reclutamento con il 50% dei posti a concorso ordinario ed il 50% dei posti da destinarsi al personale precario, Docente e Ata abilitato e vincitore di concorso, con l’esclusione della reiterazione dei concorsi e dei percorsi abilitanti per chi è già abilitato e vincitore di concorso. – Attribuzione di 12 punti per ogni abilitazione e per ogni anno di servizio maturati.     – Fase unicamente transitoria che preveda concorsi riservati per i non abilitati non vincitori di concorso.    – Ripristino del dovere di assumere cittadinanza nella provincia per le supplenze temporanee (non per i contratti annuali), nonché della domanda su massimo tre scuole e dello spostamento in coda alla graduatoria in caso di rifiuto delle supplenze. – Conteggio solo degli anni di servizio maturati nelle scuole pubbliche e, nella fase transitoria, eliminazione dal computo nelle graduatorie pubbliche degli anni svolti in scuole private non certificati da busta paga. – Chiudere i buchi in organico per vigilanza, sicurezza ed amministrazione: assunzione di tutti i precari Ata con 36 mesi di servizio. – Stabilizzazione di LSU ed LPU presso gli Enti Locali.   – Rilascio dei titoli e delle certificazioni validi per l’insegnamento esclusivamente da parte di scuole e università pubbliche.

Per l’esecutivo nazionale Unicobas

Stefano Lonzar

Pensioni Scuola anno 2024/2025

Pubblicato il Decreto Ministeriale n. 188 del 25.9.2024 con la relativa circolare applicativa contenente la tabella di sintesi dei requisiti necessari per andare in pensione.
Il personale educativo, docente ed ATA, potrà presentare le istanze di cessazione dal 27 settembre al 21 ottobre 2024.Per i dirigenti scolastici il termine per l’istanza di cessazione è fissato al 28 febbraio 2025.

PARTE RICORSO RECUPERO SCATTO 2013

Nel periodo che va dal 2007 al 2018 diversi eventi restrittivi (intervenuti col placet delle OOSS pronta-firma che ora fingono “indignazione”) hanno colpito il personale della scuola: il blocco del rinnovo dei contratti pubblici; il blocco della progressione di carriera per anzianità degli anni 2011-2012-2013; la cancellazione del gradone 0-2; il blocco delle posizioni economiche […]

IL PROGETTO SINDACALE DELL’UNICOBAS PER LA SCUOLA

CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda parlano di contratto, ma fanno finta di non sapere che proprio grazie all’accordo siglato da loro con Tremonti siamo stati in regime di blocco per 10 anni, che il contratto da biennale (per la parte economica) l’hanno fatto diventare triennale (spacciando così per decennale un blocco contrattuale di 12 anni) e soprattutto che hanno portato la scuola nel calderone indistinto del pubblico impiego, all’interno del quale vige la regola (DL.vo 29/1993) che gli ‘aumenti’ non possano superare l’inflazione programmata dalla parte datoriale (Ministro dell’economia).

Per questo, col passaggio dalla lira all’euro, avemmo un rinnovo del 2% a fronte del dato Istat al 6% e di un aumento dei prezzi al consumo pari al 50%. Per questo, dal 1995 abbiamo contratti sempre sotto l’inflazione dichiarata (dato Istat) e reale (incremento vero del costo della vita) e non potremo MAI neppure avvicinarci alla media retributiva europea, ove siamo (tenendo presente anche la diversità dei costi standard) all’ultimo posto, persino sotto a Grecia e Portogallo. O si esce dal pubblico impiego e dal campo di vigenza del DL.vo 29/1993, come l’Unicobas vuole da anni, o risulta PERSINO RIDICOLO parlare di stipendi (…europei).

Con il DLvo 29/93 il governo Amato, col placet di CGIL, CISL, UIL, privatizza il rapporto di lavoro della Scuola (ma non dell’Università, dei magistrati, dell’esercito, della sicurezza). Questo è il primo passo essenziale dell’impiegatizzazione del corpo docente. Da allora non esiste più il ruolo, bensì l’incarico a tempo indeterminato (tipico un tempo del supplente annuale), o a tempo determinato per i precari, che sarebbe come dir loro ‘lasciate ogni speranza o voi che non siete entrati’. Il ruolo era soprattutto uno scudo a garanzia dell’autonomia della funzione docente e del rispetto del dettato costituzionale sulla libertà di insegnamento, tipico del lavoratore ‘non subordinato’ e professionale (valutabile, in caso di controversie, solo da chi ha competenze per farlo, com’erano i consigli di disciplina eletti previsti dai Decreti Delegati ed aboliti nel 2008 da Brunetta). L’eliminazione del ruolo, e la contestuale trasformazione del preside in ‘datore di lavoro’, annunciava già nel 1993 la figura del ‘dirigente’ (ruolo aziendalista che confligge con la comunità educante e con l’ambito collegiale e democratico di autogoverno della scuola). Il dirigente, introdotto con la cosiddetta ‘autonomia’ e col placet di Cgil, Cisl, Uil & Snals nel 2000, è diventato quindi l’arbitro assoluto di ogni controversia disciplinare, insieme all’Ufficio Scolastico Regionale ed all’Ufficio Scolastico Provinciale. Essi decidono ‘inaudita altera parte’. Infine, come avrebbe voluto la Aprea (Forza Italia) con il suo ddl, poi Ichino e come è stato realizzato con la cd. ‘Buona Scuola’ di Renzi, grazie a tutto ciò il dirigente è potuto diventare anche l’arbitro delle assunzioni scuola per scuola (chiamata diretta) senza controllo pubblico ed il ‘valutatore’ delle ‘performance di qualità’ (bonus istituito dalla L. 107/2015).

Per questo, con l’ausilio di Confederali ed ‘Autonomi’, la controparte persegue lo smantellamento di quel che resta degli organi collegiali: Collegio Docenti (che si vorrebbe solo consultivo) e Consiglio di Istituto (da trasformare in ‘consiglio di amministrazione’ di scuole-fondazioni). Grazie alla cd. ‘autonomia i Consigli Scolastici Provinciali non esistono più dal 2000 e gli insegnanti non eleggono più il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione dal 1997 (solo nel 2015 è stato rieletto il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, ma solo perché la cosa è stata imposta dal Consiglio di Stato, e previo indebolimento dell’organismo, oggi a ristrettissima rappresentanza con sistema ultra-maggioritario): se avessero tolto organismi di tale importanza a qualsiasi altra categoria professionale ci sarebbe stata un’insurrezione, mentre noi abbiamo avuto persino un ministro che intendeva ‘valutarci’ a quiz, come poi imposto agli studenti con il dozzinale metodo Invalsi.

Dulcis in fundo, la vexata quaestio degli automatismi d’anzianità. Il Dlvo 29/93 li cancella del tutto. Per noi è stato seguito un ‘percorso a tempo’: il ‘congelamento’ non è che l’anticamera dell’eliminazione degli scatti. Erano biennali e sono stati trasformati in 6 ‘gradoni’: il primo di 3 anni, i successivi tre di 6 anni e gli ultimi due di 7 anni. Anche senza alcun rinnovo contrattuale, oggi avremmo una retribuzione molto più alta se avessimo conservato quegli scatti. S’è detto che con quegli aumenti d’anzianità (che invece hanno conservato i docenti universitari, i magistrati ed i militari di carriera) ‘sarebbero andati avanti tutti, anche i cialtroni’. Però persino la Svizzera, paese ‘meritocratico’-liberista per eccellenza, che non prevede automatismi d’anzianità per nessuno, li conserva SOLO per gli insegnanti (e sono annuali), perché in tutto il mondo si sa bene che ad insegnare si impara soprattutto insegnando.

Questa è la posizione dell’Unicobas, al contrario degli altri sindacati alternativi, a cominciare dalla velleitaria CUB, la cui sigla spicca, nel distico con le RDB, a chiare lettere proprio su QUEL CONTRATTO, quello della privatizzazione del rapporto di lavoro, firmato nel 1995 evidentemente non solo da CGIL, CISL e UIL …roba che nella Scuola non venne accettata neppure dallo SNALS di Cirino Pomicino!!!

Nella disattenzione sul DLvo 29/93 sono caduti purtroppo anche i Cobas.

Per troppi sindacati ‘i lavoratori’ sarebbero ‘tutti uguali’… L’Unicobas vuole un contratto specifico la scuola fuori dall’area del pubblico impiego (dove non è prevista certo la ‘libertà di impiegamento’ e dove non esistono le responsabilità penali che gravano su chi ha a che fare con minori) e l’istituzione di un Consiglio Superiore della Docenza (con diramazioni provinciali), adibito a garantire, così come per la Magistratura, l’autonomia, l’ambito disciplinare e la terzietà della Scuola pubblica.

Senza tutto ciò la privatizzazione della Scuola e la sua subordinazione alle caste della politica ed agli interessi economici di parte, è sicura. Un contratto specifico per tutta la Scuola, docenti ed ata, dal momento che anche un collaboratore scolastico ha competenze di vigilanza che un usciere del ministero non ha, dal momento che gli aiutanti tecnici hanno competenze di coadiuzione educativa e gli amministrativi firmano bilanci di milioni che ovunque (anche nel sistema privato) darebbero luogo a retribuzioni ben più alte.

Repetita iuvant: restituire alla Scuola il ruolo costituzionale di Istituzione, inquinato con infinite manovre aziendaliste (cd. ‘autonomia’ inclusa).

La manovra ha avuto il suo cardine nel Dl.vo 29/1993 del Governo Amato. Questo, molto sinteticamente, include la Scuola (ma non Università, Magistratura, ‘Sicurezza’ e Difesa, etc.) nella privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, così che il nostro contratto è molto paradossalmente divenuto di natura privata proprio perché ci ha inseriti nel pubblico impiego, mentre è rimasto di natura pubblica per altri settori retribuiti dallo stato (in primis l’Università, dove si esercita la nostra stessa funzione).

Questa ‘innovazione’ regressiva impone regole rigide, prima di tutto alla contrattazione:

a) Non si possono ottenere aumenti stipendiali superiori all’inflazione programmata dalle leggi finanziarie dal Ministro dell’Economia (la qual cosa ci ha portato ad avere, nell’ambito UE, retribuzioni più basse – anche alla luce del diverso costo della vita – persino di Grecia – nonostante i tagli agli stipendi quivi operati negli ultimi anni con la scusa della ‘crisi’ – e Portogallo; dagli spagnoli ci separano circa 1.000 euro netti su base mensile). Questa regola allontana matematicamente, di contratto in contratto, l’Italia dalla media retributiva UE, soprattutto perché il dato della ‘inflazione programmata’ è del tutto previsionale (per l’anno a venire) e viene fissato sempre sotto l’inflazione dichiarata dall’Istat (che è in ogni caso molto inferiore all’inflazione reale). In tempi di deflazione, addirittura, si rischia l’automatismo del blocco contrattuale.

Impossibile, se non si esce dai vincoli del Dl.vo 29/1993, anche solo tentare di riavvicinarsi alla media retributiva UE. Tutto ciò fa sì che non esista più dal 1993 una vera trattativa contrattuale, determinando totalmente in via discrezionale il nostro datore di lavoro il ‘quantum’ dei contratti. Impossibile, in un quadro normativo del genere, persino battersi per un incremento dell’indennità di funzione docente.

b) L’eliminazione del ‘ruolo’, sostituito dall’incarico a tempo indeterminato (prima del Dl.vo 29, tipico del personale precario reincaricato per continuità didattica). Per i precari è arrivato l’incarico ‘a tempo determinato’ (posizione molto più debole), che equivale al ‘lasciate ogni speranza o voi che non siete entrati’. Ma il ‘ruolo’ era soprattutto uno ‘scudo’ a garanzia dell’autonomia della funzione docente, che è tuttora (fino alla molto prossima eliminazione del Testo Unico ‘297’ – nona delega della L. 107/15 rimasta ancora inevasa) funzione di lavoro non subordinato (a garanzia del rispetto del vincolo costituzionale della libertà di insegnamento).

c) Sono stati eliminati gli scatti d’anzianità: il Dlvo 29/93 li cancella del tutto. Per noi è stato seguito un ‘percorso a tempo’: il ‘congelamento’ non è stato che una copertura l’eliminazione degli scatti. Erano biennali e sono stati trasformati in 6 ‘gradoni’: il primo di 3 anni, i successivi tre di 6 anni e gli ultimi due di 7 anni. Anche senza alcun rinnovo contrattuale, oggi avremmo una retribuzione molto più alta se avessimo conservato quegli scatti. S’è detto che con quegli aumenti d’anzianità (che invece hanno conservato i docenti universitari, i magistrati ed i militari di carriera) ‘sarebbero andati avanti tutti, anche i cialtroni’. Però persino la Svizzera, paese ‘meritocratico’-liberista per eccellenza, che non prevede automatismi d’anzianità per nessuno, li conserva SOLO per gli insegnanti (e sono annuali), perché in tutto il mondo si sa bene che ad insegnare si impara soprattutto insegnando.

L’attuale, apparente, ‘sopravvivenza’ dei ‘gradoni’ è dal contratto del 1995 (quello che ha recepito i dettami del Dl.vo 29/93) del tutto aleatoria: infatti, dall’epoca non esiste più un ‘capitolato’ di spesa ove destinare fondi contrattuali per gli scatti d’anzianità. Tanto che la retribuzione degli scatti (‘congelati’ o meno) avviene a carico degli stanziamenti per il fondo di istituto. In parole povere, siamo sempre noi, Docenti ed Ata, a pagare: mentre aumentano i carichi di lavoro, per retribuire gli ‘scatti’ diminuiscono i fondi per gli straordinari, i progetti, le ore aggiuntive. I fondi per le residue retribuzioni d’anzianità li rubano ai docenti ed agli ata da una tasca per metterli nell’altra: sono sempre a nostro carico.

Però la cosa più grave è stata la contestuale trasformazione del preside in ‘datore di lavoro’ interna al Dl.vo 29 (ancor prima che diventasse ‘dirigente’): per questo è stata possibile la chiusura del cerchio avvenuta con la L. 107/2015. Era ovvio che questo singolare ‘datore di lavoro’, prima o poi, sarebbe diventato colui che t’assume, ti valuta e ti licenzia. Questa definizione, che troviamo già nel contratto del 1995, annunciava la figura del ‘dirigente’ (ruolo aziendalista inesistente nelle Università – ove i presidi di facoltà sono elettivi).

Il dirigente, introdotto con la cosiddetta ‘autonomia’ nel 2000 (che ha eliminato anche i Consigli Scolastici Provinciali ed i Consigli di Disciplina eletti), è diventato quindi l’arbitro assoluto di ogni controversia disciplinare, insieme all’Ufficio Scolastico Provinciale.

Se non si pretende l’uscita della Scuola dal campo di vigenza del Dl.vo 29, risulta assolutamente contraddittoria ogni battaglia contro la L. 107 (ed ora contro le famose ‘deleghe’ testé approvate), ancor più a fronte del tentativo annunciato il 14 Gennaio di abrogare del tutto il Testo Unico ‘297’ tramite uno specifico disegno di legge richiamato dal Ministro Fedeli. Non hanno approvato la delega sul Testo Unico semplicemente perché preferiranno sostituirlo integralmente, mentre nel 2017 sarebbero stati costretti a muoversi nell’ambito dell’attuale stato giuridico del personale della Scuola. Ma la posizione è chiara: vogliono abbattere definitivamente ogni quarentigia, a cominciare dalla definizione di ‘lavoratore non subordinato’ richiamata (ancora) anche nel contratto. Questo è il vero ‘atto d’indirizzo’ del nuovo Ministro: andare persino oltre la L.107 (il lavoro più ‘sporco’ si lascia sempre ad un governo ‘di scopo’ o all’inciucio a venire).

Per le ragioni su addotte, dobbiamo batterci per un contratto specifico di natura non privatistica per tutta la Scuola fuori dall’area del pubblico impiego (dove non è prevista certo la ‘libertà di impiegamento’ e dove non esistono le responsabilità penali che gravano su chi ha a che fare con minori) e per l’istituzione di un Consiglio Superiore della Docenza (con diramazioni provinciali), adibito a garantire, così come per la Magistratura, l’autonomia e la terzietà della Scuola pubblica.

Senza tutto ciò la privatizzazione della scuola e la sua subordinazione alle caste della politica ed agli interessi economici privati e di parte, come s’è ampiamente dimostrato, è sicura.

Significativo delle connivenze in materia è il silenzio sulla questione del DLvo 29/93 da parte di tutti i sindacati Confederali ed Autonomi firmatari di contratto, di alcuni ‘movimenti’ e dei cd. ‘autoconvocati’ (per il 99% Rsu della Cgil), nonché la scomparsa dal testo della Lip (oggi Legge d’Iniziativa Popolare ‘per la Scuola della Repubblica’) di ogni traccia del dibattito sull’eliminazione della figura del dirigente scolastico (che si voleva tornasse preside, magari elettivo) e relativamente all’uscita della Scuola dal campo di vigenza del DLvo 29/93.

In questi ultimi trent’anni il Parlamento ha approvato una serie di leggi che hanno inciso profondamente sulla condizione degli insegnanti, considerandoli essenzialmente «indistinti dipendenti pubblici», alla stregua di tutti gli altri impiegati dello Stato: la legge 29 marzo 1983, n. 93, nota come legge quadro sul pubblico impiego, a seguito della quale i docenti furono inseriti nel 6° e 7° livello impiegatizio e la funzione docente perse ogni specificità e si recise definitivamente il legame con la docenza universitaria; la legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, sul pubblico impiego, che ha dato il via alla privatizzazione del rapporto di lavoro, distinguendo fra ciò che rimaneva riserva di legge e ciò che diventava materia di contrattazione. Il rapporto di lavoro della docenza universitaria non veniva invece privatizzato, come avvenuto per la Scuola con la diretta emanazione di tale norma: il decreto legislativo n. 29 del 1993. La legge 15 marzo 1997, n. 59, con la quale è stata istituita l’autonomia scolastica e si è attribuita la dirigenza ai capi d’istituto, separando la loro contrattazione dal restante personale della scuola, nega di fatto la caratteristica di lavoratore non subordinato attribuita ai docenti dalle norme sulla libertà d’insegnamento.

Per questo, oltre all’uscita dal Dl.vo 29, si ritiene necessaria la costituzione di un organismo di autogoverno autonomo ed indipendente dall’amministrazione, con la funzione di dare evidenza, identità e tutela alla professione docente: il Consiglio Superiore della Docenza, eletto unicamente dagli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, con consigli a livello regionale, coadiuvati da esperti nominati dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e dalle università.

Il Consiglio Superiore della Docenza dovrebbe avere il compito di definire gli standard professionali, di sovrintendere alla formazione iniziale e in servizio, di intervenire sulle norme di accesso all’insegnamento, di statuire e far rispettare il codice deontologico. Gli standard professionali devono descrivere che cosa devono sapere e saper fare gli insegnanti. Essi sono l’elemento fondante dell’identità professionale e costituiscono la base indispensabile per la formazione iniziale e in itinere, per il reclutamento, per la valutazione e l’autovalutazione dei docenti. Vanno individuati standard per la formazione iniziale, per il reclutamento e il superamento del periodo di prova. Il codice deontologico favorisce la costruzione dell’identità professionale, aumenta il senso di appartenenza alla propria comunità professionale e scientifica, costituisce esso stesso un importante riferimento ai fini della valutazione collegiale dei risultati del Pof (Ptof) e dell’autovalutazione, nonché dell’attività educativa, e contempera l’autonomia professionale con i bisogni degli allievi e con i più generali interessi della società.

Per essere efficaci, sia gli standard che il codice deontologico devono essere aperti alle sollecitazioni della concreta pratica professionale, della ricerca, della cultura e della domanda sociale; devono essere flessibili e dinamici, cioè continuamente aggiornabili e aggiornati, favorendo il confronto studenti-docenti sul piano formativo, ma ristabilendo il rispetto dei ruoli: ambito metodologico- didattico di stretta competenza degli insegnanti senza (dannose e inqualificabili) intromissioni; ambito formativo che attiene al rispetto fra i ruoli. La controparte, Treelle, Confindustria, partiti & gruppi privati trans-nazionali liberisti, sindacati consociativi, ‘sinistra’ subordinata, viceversa, persegue lo smantellamento di quel che resta degli organi collegiali: Collegio Docenti (che si vorrebbe solo consultivo) e Consiglio di Istituto (da trasformare in ‘consiglio di amministrazione’ di scuole-fondazioni con la presidenza del ‘dirigente’ medesimo).

Grazie alla cd. ‘autonomia’ i Consigli Scolastici Provinciali non esistono più dal 2000 e gli insegnanti non hanno eletto più il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione dal 1997 al 2015 (infine con rappresentanza fortemente ridotta e ‘poteri’ del tutto aleatori): se avessero tolto organismi di tale importanza a qualsiasi altra categoria professionale ci sarebbe stata un’insurrezione, mentre noi abbiamo avuto persino un ministro che intendeva ‘valutarci’ a quiz, come poi imposto agli studenti con il dozzinale metodo Invalsi. Perciò riteniamo che serva ridare vita agli organismi elettivi previsti dai Decreti Delegati del 1974, per una rappresentanza composita di tutto il mondo della Scuola (docenti, ata, genitori e studenti inclusi), per rilanciarne una nuova, vera, gestione democratica.

Senza la riconquista di uno stato giuridico appropriato non impiegatizio ogni lotta rischia di venire compromessa in partenza. Conosciamo le resistenze. C’è chi scambia il ritorno ad un regime pubblico in termini di rapporto di lavoro con la ‘decontrattualizzazione’: rispondiamo che invece noi ci richiamiamo alla situazione ante-Dl.vo 29/93, che prevedeva la contrattazione nazionale direttamente con il Ministero dell’Istruzione, come testimoniano i numerosi CCNNLL di quegli anni. Semmai riteniamo l’Aran (introdotta con la privatizzazione del rapporto di lavoro) un vero e proprio ignobile carrozzone.

Roma, 24.11.1995: SCIOPERO UNICOBAS CONTRO IL CONTRATTO CHE INSERISCE LA SCUOLA NEL CALDERONE DEL ‘PUBBLICO IMPIEGO’. il 4.6.1995 Cgil, Cisl, Uil, CUB e Unams avevano firmato il vergognoso contratto della privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, inserendo impropriamente la scuola nel calderone del pubblico impiego. CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda parlano di contratto, ma fanno finta di non sapere che proprio grazie all’accordo siglato da loro con Tremonti siamo stati in regime di blocco per 10 anni, che il contratto da biennale (per la parte economica) l’hanno fatto diventare triennale (spacciando così per decennale un blocco contrattuale di 12 anni) e soprattutto che hanno portato la scuola nel calderone indistinto del pubblico impiego, all’interno del quale vige la regola (DL.vo 29/1993) che gli ‘aumenti’ non possano superare l’inflazione programmata dalla parte datoriale (Ministro dell’economia). Per questo, col passaggio dalla lira all’euro, avemmo un rinnovo del 2% a fronte del dato Istat al 6% e di un aumento dei prezzi al consumo pari al 50%. Per questo, dal 1995 abbiamo contratti sempre sotto l’inflazione dichiarata (dato Istat) e reale (incremento vero del costo della vita) e non potremo MAI neppure avvicinarci alla media retributiva europea, ove siamo (tenendo presente anche la diversità dei costi standard) all’ultimo posto, persino sotto a Grecia e Portogallo. O si esce dal pubblico impiego e dal campo di vigenza del DL.vo 29/1993, come l’Unicobas vuole da anni, o risulta PERSINO RIDICOLO parlare di stipendi (…europei).Con il DLvo 29/93 il governo Amato, col placet di CGIL, CISL, UIL, privatizza il rapporto di lavoro della Scuola (ma non dell’Università, dei magistrati, dell’esercito, della sicurezza). Questo è il primo passo essenziale dell’impiegatizzazione del corpo docente. Da allora non esiste più il ruolo, bensì l’incarico a tempo indeterminato (tipico un tempo del supplente annuale), o a tempo determinato per i precari, che sarebbe come dir loro ‘lasciate ogni speranza o voi che non siete entrati’. Il ruolo era soprattutto uno scudo a garanzia dell’autonomia della funzione docente e del rispetto del dettato costituzionale sulla libertà di insegnamento, tipico del lavoratore ‘non subordinato’ e professionale (valutabile, in caso di controversie, solo da chi ha competenze per farlo, com’erano i consigli di disciplina eletti previsti dai Decreti Delegati ed aboliti nel 2008 da Brunetta). L’eliminazione del ruolo, e la contestuale trasformazione del preside in ‘datore di lavoro’, annunciava già nel 1993 la figura del ‘dirigente’ (ruolo aziendalista che confligge con la comunità educante e con l’ambito collegiale e democratico di autogoverno della scuola). Il dirigente, introdotto con la cosiddetta ‘autonomia’ e col placet di Cgil, Cisl, Uil & Snals nel 2000, è diventato quindi l’arbitro assoluto di ogni controversia disciplinare, insieme all’Ufficio Scolastico Regionale ed all’Ufficio Scolastico Provinciale. Essi decidono ‘inaudita altera parte’. Infine, come avrebbe voluto la Aprea (Forza Italia) con il suo ddl, poi Ichino e come è stato realizzato con la cd. ‘Buona Scuola’ di Renzi, grazie a tutto ciò il dirigente è potuto diventare anche l’arbitro delle assunzioni scuola per scuola (chiamata diretta) senza controllo pubblico ed il ‘valutatore’ delle ‘performance di qualità’ (bonus istituito dalla L. 107/2015). Per questo, con l’ausilio di Confederali ed ‘Autonomi’, la controparte persegue lo smantellamento di quel che resta degli organi collegiali: Collegio Docenti (che si vorrebbe solo consultivo) e Consiglio di Istituto (da trasformare in ‘consiglio di amministrazione’ di scuole-fondazioni). Grazie alla cd. ‘autonomia i Consigli Scolastici Provinciali non esistono più dal 2000 e gli insegnanti non eleggono più il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione dal 1997 (solo nel 2015 è stato rieletto il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, ma solo perché la cosa è stata imposta dal Consiglio di Stato, e previo indebolimento dell’organismo, oggi a ristrettissima rappresentanza con sistema ultra-maggioritario): se avessero tolto organismi di tale importanza a qualsiasi altra categoria professionale ci sarebbe stata un’insurrezione, mentre noi abbiamo avuto persino un ministro che intendeva ‘valutarci’ a quiz, come poi imposto agli studenti con il dozzinale metodo Invalsi. Dulcis in fundo, la vexata quaestio degli automatismi d’anzianità. Il Dlvo 29/93 li cancella del tutto. Per noi è stato seguito un ‘percorso a tempo’: il ‘congelamento’ non è che l’anticamera dell’eliminazione degli scatti. Erano biennali e sono stati trasformati in 6 ‘gradoni’: il primo di 3 anni, i successivi tre di 6 anni e gli ultimi due di 7 anni. Anche senza alcun rinnovo contrattuale, oggi avremmo una retribuzione molto più alta se avessimo conservato quegli scatti. S’è detto che con quegli aumenti d’anzianità (che invece hanno conservato i docenti universitari, i magistrati ed i militari di carriera) ‘sarebbero andati avanti tutti, anche i cialtroni’. Però persino la Svizzera, paese ‘meritocratico’-liberista per eccellenza, che non prevede automatismi d’anzianità per nessuno, li conserva SOLO per gli insegnanti (e sono annuali), perché in tutto il mondo si sa bene che ad insegnare si impara soprattutto insegnando. Questa è la posizione dell’Unicobas, al contrario degli altri sindacati alternativi, a cominciare dalla velleitaria CUB, la cui sigla spicca, nel distico con le RDB, a chiare lettere proprio su QUEL CONTRATTO, quello della privatizzazione del rapporto di lavoro, firmato nel 1995 evidentemente non solo da CGIL, CISL e UIL …roba che nella Scuola non venne accettata neppure dallo SNALS di Cirino Pomicino!!! Nella disattenzione sul DLvo 29/93 sono caduti purtroppo anche i Cobas. Per troppi sindacati ‘i lavoratori’ sarebbero ‘tutti uguali’… L’Unicobas vuole un contratto specifico la scuola fuori dall’area del pubblico impiego (dove non è prevista certo la ‘libertà di impiegamento’ e dove non esistono le responsabilità penali che gravano su chi ha a che fare con minori) e l’istituzione di un Consiglio Superiore della Docenza (con diramazioni provinciali), adibito a garantire, così come per la Magistratura, l’autonomia, l’ambito disciplinare e la terzietà della Scuola pubblica. Senza tutto ciò la privatizzazione della Scuola e la sua subordinazione alle caste della politica ed agli interessi economici di parte, è sicura. Un contratto specifico per tutta la Scuola, docenti ed ata, dal momento che anche un collaboratore scolastico ha competenze di vigilanza che un usciere del ministero non ha, dal momento che gli aiutanti tecnici hanno competenze di coadiuzione educativa e gli amministrativi firmano bilanci di milioni che ovunque (anche nel sistema privato) darebbero luogo a retribuzioni ben più alte.Repetita iuvant: restituire alla Scuola il ruolo costituzionale di Istituzione, inquinato con infinite manovre aziendaliste (cd. ‘autonomia’ inclusa). La manovra ha avuto il suo cardine nel Dl.vo 29/1993 del Governo Amato. Questo, molto sinteticamente, include la Scuola (ma non Università, Magistratura, ‘Sicurezza’ e Difesa, etc.) nella privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, così che il nostro contratto è molto paradossalmente divenuto di natura privata proprio perché ci ha inseriti nel pubblico impiego, mentre è rimasto di natura pubblica per altri settori retribuiti dallo stato (in primis l’Università, dove si esercita la nostra stessa funzione).Questa ‘innovazione’ regressiva impone regole rigide, prima di tutto alla contrattazione:a) Non si possono ottenere aumenti stipendiali superiori all’inflazione programmata dalle leggi finanziarie dal Ministro dell’Economia (la qual cosa ci ha portato ad avere, nell’ambito UE, retribuzioni più basse – anche alla luce del diverso costo della vita – persino di Grecia – nonostante i tagli agli stipendi quivi operati negli ultimi anni con la scusa della ‘crisi’ – e Portogallo; dagli spagnoli ci separano circa 1.000 euro netti su base mensile). Questa regola allontana matematicamente, di contratto in contratto, l’Italia dalla media retributiva UE, soprattutto perché il dato della ‘inflazione programmata’ è del tutto previsionale (per l’anno a venire) e viene fissato sempre sotto l’inflazione dichiarata dall’Istat (che è in ogni caso molto inferiore all’inflazione reale). In tempi di deflazione, addirittura, si rischia l’automatismo del blocco contrattuale. Impossibile, se non si esce dai vincoli del Dl.vo 29/1993, anche solo tentare di riavvicinarsi alla media retributiva UE. Tutto ciò fa sì che non esista più dal 1993 una vera trattativa contrattuale, determinando totalmente in via discrezionale il nostro datore di lavoro il ‘quantum’ dei contratti. Impossibile, in un quadro normativo del genere, persino battersi per un incremento dell’indennità di funzione docente.b) L’eliminazione del ‘ruolo’, sostituito dall’incarico a tempo indeterminato (prima del Dl.vo 29, tipico del personale precario reincaricato per continuità didattica). Per i precari è arrivato l’incarico ‘a tempo determinato’ (posizione molto più debole), che equivale al ‘lasciate ogni speranza o voi che non siete entrati’. Ma il ‘ruolo’ era soprattutto uno ‘scudo’ a garanzia dell’autonomia della funzione docente, che è tuttora (fino alla molto prossima eliminazione del Testo Unico ‘297’ – nona delega della L. 107/15 rimasta ancora inevasa) funzione di lavoro non subordinato (a garanzia del rispetto del vincolo costituzionale della libertà di insegnamento).c) Sono stati eliminati gli scatti d’anzianità: il Dlvo 29/93 li cancella del tutto. Per noi è stato seguito un ‘percorso a tempo’: il ‘congelamento’ non è stato che una copertura l’eliminazione degli scatti. Erano biennali e sono stati trasformati in 6 ‘gradoni’: il primo di 3 anni, i successivi tre di 6 anni e gli ultimi due di 7 anni. Anche senza alcun rinnovo contrattuale, oggi avremmo una retribuzione molto più alta se avessimo conservato quegli scatti. S’è detto che con quegli aumenti d’anzianità (che invece hanno conservato i docenti universitari, i magistrati ed i militari di carriera) ‘sarebbero andati avanti tutti, anche i cialtroni’. Però persino la Svizzera, paese ‘meritocratico’-liberista per eccellenza, che non prevede automatismi d’anzianità per nessuno, li conserva SOLO per gli insegnanti (e sono annuali), perché in tutto il mondo si sa bene che ad insegnare si impara soprattutto insegnando.L’attuale, apparente, ‘sopravvivenza’ dei ‘gradoni’ è dal contratto del 1995 (quello che ha recepito i dettami del Dl.vo 29/93) del tutto aleatoria: infatti, dall’epoca non esiste più un ‘capitolato’ di spesa ove destinare fondi contrattuali per gli scatti d’anzianità. Tanto che la retribuzione degli scatti (‘congelati’ o meno) avviene a carico degli stanziamenti per il fondo di istituto. In parole povere, siamo sempre noi, Docenti ed Ata, a pagare: mentre aumentano i carichi di lavoro, per retribuire gli ‘scatti’ diminuiscono i fondi per gli straordinari, i progetti, le ore aggiuntive. I fondi per le residue retribuzioni d’anzianità li rubano ai docenti ed agli ata da una tasca per metterli nell’altra: sono sempre a nostro carico.Però la cosa più grave è stata la contestuale trasformazione del preside in ‘datore di lavoro’ interna al Dl.vo 29 (ancor prima che diventasse ‘dirigente’): per questo è stata possibile la chiusura del cerchio avvenuta con la L. 107/2015. Era ovvio che questo singolare ‘datore di lavoro’, prima o poi, sarebbe diventato colui che t’assume, ti valuta e ti licenzia. Questa definizione, che troviamo già nel contratto del 1995, annunciava la figura del ‘dirigente’ (ruolo aziendalista inesistente nelle Università – ove i presidi di facoltà sono elettivi).Il dirigente, introdotto con la cosiddetta ‘autonomia’ nel 2000 (che ha eliminato anche i Consigli Scolastici Provinciali ed i Consigli di Disciplina eletti), è diventato quindi l’arbitro assoluto di ogni controversia disciplinare, insieme all’Ufficio Scolastico Provinciale.Se non si pretende l’uscita della Scuola dal campo di vigenza del Dl.vo 29, risulta assolutamente contraddittoria ogni battaglia contro la L. 107 (ed ora contro le famose ‘deleghe’ testé approvate), ancor più a fronte del tentativo annunciato il 14 Gennaio di abrogare del tutto il Testo Unico ‘297’ tramite uno specifico disegno di legge richiamato dal Ministro Fedeli. Non hanno approvato la delega sul Testo Unico semplicemente perché preferiranno sostituirlo integralmente, mentre nel 2017 sarebbero stati costretti a muoversi nell’ambito dell’attuale stato giuridico del personale della Scuola. Ma la posizione è chiara: vogliono abbattere definitivamente ogni quarentigia, a cominciare dalla definizione di ‘lavoratore non subordinato’ richiamata (ancora) anche nel contratto. Questo è il vero ‘atto d’indirizzo’ del nuovo Ministro: andare persino oltre la L.107 (il lavoro più ‘sporco’ si lascia sempre ad un governo ‘di scopo’ o all’inciucio a venire).Per le ragioni su addotte, dobbiamo batterci per un contratto specifico di natura non privatistica per tutta la Scuola fuori dall’area del pubblico impiego (dove non è prevista certo la ‘libertà di impiegamento’ e dove non esistono le responsabilità penali che gravano su chi ha a che fare con minori) e per l’istituzione di un Consiglio Superiore della Docenza (con diramazioni provinciali), adibito a garantire, così come per la Magistratura, l’autonomia e la terzietà della Scuola pubblica.Senza tutto ciò la privatizzazione della scuola e la sua subordinazione alle caste della politica ed agli interessi economici privati e di parte, come s’è ampiamente dimostrato, è sicura.Significativo delle connivenze in materia è il silenzio sulla questione del DLvo 29/93 da parte di tutti i sindacati Confederali ed Autonomi firmatari di contratto, di alcuni ‘movimenti’ e dei cd. ‘autoconvocati’ (per il 99% Rsu della Cgil), nonché la scomparsa dal testo della Lip (oggi Legge d’Iniziativa Popolare ‘per la Scuola della Repubblica’) di ogni traccia del dibattito sull’eliminazione della figura del dirigente scolastico (che si voleva tornasse preside, magari elettivo) e relativamente all’uscita della Scuola dal campo di vigenza del DLvo 29/93.In questi ultimi trent’anni il Parlamento ha approvato una serie di leggi che hanno inciso profondamente sulla condizione degli insegnanti, considerandoli essenzialmente «indistinti dipendenti pubblici», alla stregua di tutti gli altri impiegati dello Stato: la legge 29 marzo 1983, n. 93, nota come legge quadro sul pubblico impiego, a seguito della quale i docenti furono inseriti nel 6° e 7° livello impiegatizio e la funzione docente perse ogni specificità e si recise definitivamente il legame con la docenza universitaria; la legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, sul pubblico impiego, che ha dato il via alla privatizzazione del rapporto di lavoro, distinguendo fra ciò che rimaneva riserva di legge e ciò che diventava materia di contrattazione. Il rapporto di lavoro della docenza universitaria non veniva invece privatizzato, come avvenuto per la Scuola con la diretta emanazione di tale norma: il decreto legislativo n. 29 del 1993. La legge 15 marzo 1997, n. 59, con la quale è stata istituita l’autonomia scolastica e si è attribuita la dirigenza ai capi d’istituto, separando la loro contrattazione dal restante personale della scuola, nega di fatto la caratteristica di lavoratore non subordinato attribuita ai docenti dalle norme sulla libertà d’insegnamento. Per questo, oltre all’uscita dal Dl.vo 29, si ritiene necessaria la costituzione di un organismo di autogoverno autonomo ed indipendente dall’amministrazione, con la funzione di dare evidenza, identità e tutela alla professione docente: il Consiglio Superiore della Docenza, eletto unicamente dagli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, con consigli a livello regionale, coadiuvati da esperti nominati dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e dalle università.Il Consiglio Superiore della Docenza dovrebbe avere il compito di definire gli standard professionali, di sovrintendere alla formazione iniziale e in servizio, di intervenire sulle norme di accesso all’insegnamento, di statuire e far rispettare il codice deontologico. Gli standard professionali devono descrivere che cosa devono sapere e saper fare gli insegnanti. Essi sono l’elemento fondante dell’identità professionale e costituiscono la base indispensabile per la formazione iniziale e in itinere, per il reclutamento, per la valutazione e l’autovalutazione dei docenti. Vanno individuati standard per la formazione iniziale, per il reclutamento e il superamento del periodo di prova. Il codice deontologico favorisce la costruzione dell’identità professionale, aumenta il senso di appartenenza alla propria comunità professionale e scientifica, costituisce esso stesso un importante riferimento ai fini della valutazione collegiale dei risultati del Pof (Ptof) e dell’autovalutazione, nonché dell’attività educativa, e contempera l’autonomia professionale con i bisogni degli allievi e con i più generali interessi della società.Per essere efficaci, sia gli standard che il codice deontologico devono essere aperti alle sollecitazioni della concreta pratica professionale, della ricerca, della cultura e della domanda sociale; devono essere flessibili e dinamici, cioè continuamente aggiornabili e aggiornati, favorendo il confronto studenti-docenti sul piano formativo, ma ristabilendo il rispetto dei ruoli: ambito metodologico- didattico di stretta competenza degli insegnanti senza (dannose e inqualificabili) intromissioni; ambito formativo che attiene al rispetto fra i ruoli. La controparte, Treelle, Confindustria, partiti & gruppi privati trans-nazionali liberisti, sindacati consociativi, ‘sinistra’ subordinata, viceversa, persegue lo smantellamento di quel che resta degli organi collegiali: Collegio Docenti (che si vorrebbe solo consultivo) e Consiglio di Istituto (da trasformare in ‘consiglio di amministrazione’ di scuole-fondazioni con la presidenza del ‘dirigente’ medesimo).Grazie alla cd. ‘autonomia’ i Consigli Scolastici Provinciali non esistono più dal 2000 e gli insegnanti non hanno eletto più il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione dal 1997 al 2015 (infine con rappresentanza fortemente ridotta e ‘poteri’ del tutto aleatori): se avessero tolto organismi di tale importanza a qualsiasi altra categoria professionale ci sarebbe stata un’insurrezione, mentre noi abbiamo avuto persino un ministro che intendeva ‘valutarci’ a quiz, come poi imposto agli studenti con il dozzinale metodo Invalsi. Perciò riteniamo che serva ridare vita agli organismi elettivi previsti dai Decreti Delegati del 1974, per una rappresentanza composita di tutto il mondo della Scuola (docenti, ata, genitori e studenti inclusi), per rilanciarne una nuova, vera, gestione democratica.Senza la riconquista di uno stato giuridico appropriato non impiegatizio ogni lotta rischia di venire compromessa in partenza. Conosciamo le resistenze. C’è chi scambia il ritorno ad un regime pubblico in termini di rapporto di lavoro con la ‘decontrattualizzazione’: rispondiamo che invece noi ci richiamiamo alla situazione ante-Dl.vo 29/93, che prevedeva la contrattazione nazionale direttamente con il Ministero dell’Istruzione, come testimoniano i numerosi CCNNLL di quegli anni. Semmai riteniamo l’Aran (introdotta con la privatizzazione del rapporto di lavoro) un vero e proprio ignobile carrozzone.